Quando la morte non vince

Intervento della dott.sa Wanda Poltawska al convegno “L’eclissi della bellezza – Genocidi e diritti umani” presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore – sede di Brescia – 9 febbraio 2007.

La dott.sa Wanda Poltawska – spiega Massimo Gandolfini che introduce l’intervento – è nata a Lublino e vive a Cracovia. Fu arrestata dalle SS il 17 Febbraio 1941 a 18 anni in quanto attivista scout nella resistenza polacca. Deportata nel lager femminile di Ravensbrück vi rimase fino al maggio del 1945 e lì fu vittima di esperimenti pseudo-medici del dott. Fritz Fischer a riprova che quando la medicina perde il suo volto umano è capace di condurre le nefandezze più terribili contro la persona. La dott.sa è diventata poi medico, specializzata in psichiatria, si è sposata ed è madre di quattro figlie. Dal 1955 al 1997 ha lavorato presso l’Istituto per i Problemi della Famiglia, fondato a Cracovia dall’allora card. Karol Wojtyla. Dal 1981 al 1984 è stata professore dell’Istituto Giovanni Paolo II per la Famiglia presso la Pontificia Università Lateranense. Dal 1983 assieme al marito Andrzej fa parte della Commissione Pontificia per la Famiglia a Roma. Dal 1994 è membro della Pontificia Accademia per la Vita, voluta da Papa Giovanni Paolo II, che ebbe come primo presidente e direttore Jérôme Lejeune.

Quella che segue è una versione sintetizzata del suo intervento (abbiamo cercato di ridurre al minimo gli adattamenti del parlato) ma consigliamo assolutamente la visione del filmato completo per ascoltare dalla sua viva voce una testimonianza davvero unica e coinvolgente.

Wanda Poltawska, nata il 2 novembre 1921, è tornata alla casa del Padre il 24 ottobre 2023 in procinto di compiere i 102 anni di vita terrena.

Io tratto tutti voi come miei amici – esordisce la dott.sa Wanda Poltawska – perché io lavoro da 60 anni per il Movimento per la Vita, per difendere la vita.
Tempo fa mi hanno chiesto di scrivere la prefazione a una nuova biografia di Rudolf Höss, comandante di Auswitz. Perché ritornare a parlare di un criminale? Ha mandato migliaia di persone alla camera a gas e per questo è stato già giustiziato. Non sarebbe meglio cercare di dimenticare? La risposta è no, perché sempre torna la domanda: “perché?” Come è possibile che uomini adulti e forti tormentino delle ragazze di 15 anni o poco più? Sembra infatti che la sua crudeltà non turbasse il suo equilibrio negli altri ambiti della vita. Questo “perché?” mi ha accompagnato per molti anni senza che diminuisse il mio stupore. Per la prima volta avevo a che fare con l’odio e la crudeltà. Avevo già assistito alla morte di ragazzi, a partire dal 1939, feriti nella resistenza ai tedeschi. Però si trattava di soldati che difendevano la patria da altri soldati. Nella caserma della Gestapo il 17 Febbraio 1941 io vedevo invece persone inermi torturate. Perché?

Poi sono stata internata a Ravensbrück ma la mia domanda restava. Un giorno eravamo schierate davanti ad una sorvegliante che sceglieva le più anziane e malate da mandare alla camera a gas. C’era una bambina, piccola, con un cappottino rosso. L’ufficiale la prese in braccio, le sorrise in modo del tutto naturale e poi continuò a scegliere le condannate al gas. Io sgranai gli occhi e la fissai – non per paura, allora non avevo i capelli bianchi! – perché la mia vecchia domanda ritornava. Come è possibile questo? Ero nella prima fila e la donna mi fece uscire dalle file e mi trascinò dal comandante del campo, un ufficiale alto e massiccio, il quale mi chiese, urlando, se sapevo che lui poteva distruggermi. Io, in tedesco, poiché l’avevo studiato a scuola, risposi di sì, che lo sapevo… ma perché? perché? lui si avvicinò ancora di più, coi pugni serrati, ma, stranamente, non mi picchiò e si limitò a urlare “Fuori!”.

La mia domanda restava senza risposta. Eravamo tutti uguali? vincitori e vinti? E intanto il forno crematorio fumava giorno e notte mentre gli altoparlanti suonavano la ninna nanna “Traumerei” di Schumann. Ma una notte, nel gennaio 1945, esplosi nella gioia fino a farmi piangere. Doveva essere la notte della nostra esecuzione. Due altre donne, internate nel campo, vennero da noi e si offrirono al posto di due di noi perché, dicevano, era necessario che restassero dei testimoni a raccontare gli orrori vissuti. E quelle due donne – di una, norvegese, non sappiamo nemmeno il nome – risposero all’appello della ufficiale tedesca usando il nostro numero (non abbiamo nomi nel campo, solo numeri) e furono uccise. Ecco dunque: vi sono donne che si comportano come mostri e donne che sono giganti dello spirito, donne-eroine.

La domanda resta comunque aperta anche oggi: qual è la differenza fra Rudolf Höss e certi medici ginecologi? Pure loro uccidono migliaia di persone, bambini piccolini e indifesi, anche se, essendo medici, sanno bene che si tratta di esseri umani. E nessuno li giudica o li condanna. La legge umana non difendeva allora le persone indifese e continua a non difendere oggi i bambini piccoli. Finita la guerra divenni medico e una volta accadde che partecipassi a un convegno in cui una dottoressa parlava del suo successo: aveva impiantato la millesima spirale. Ascoltavo questa dichiarazione con la stessa domanda di sempre, che tornava attuale: come è possibile che una dottoressa, che ha fatto il Giuramento di Ippocrate, presenti come un successo una attività dal carattere chiaramente criminale? Anche nei congressi scientifici medici, durante la guerra, si riportavano come successi gli esperimenti svolti nei lager. I medici e i professori che ascoltavano non reagivano. Come oggi.

Anni dopo, a un congresso a Vienna, un medico chiese pubblicamente un consiglio, una “domanda per i teologi”, diceva. Teneva in frigorifero tre embrioni congelati e aveva il problema di coscienza di non riuscire a trovare donne candidate all’impianto. Io non resistei e gli dissi: “Collega, lei ha già dimenticato Norimberga: come mai lei ha nel freezer dei bambini congelati?”
A Norimberga il medico responsabile degli esperimenti pseudo-scientifici del lager di Ravensbrück, dove ero io, fu condannato a morte e la sentenza fu eseguita. Appena 50 anni dopo centinaia di medici effettuano esperimenti pseudo-medici su bambini piccoli e indifesi. Che uomini sono? Sono diversi dalle SS tedesche? Se sì in che cosa? Sono uomini non-umani che praticano una medicina disumana. Una mascolinità disumana e una femminilità disumana.

Fu Giovanni Paolo II a dare la risposta al mio “Perché?”: la genesi divina dell’uomo è la spiegazione. L’uomo, creato a immagine di Dio, ha ricevuto la vita come compito, la propria umanità come compito e dall’uomo dipende cosa lui farà di se stesso. L’uomo si sviluppa e può diventare sempre più umano o sempre meno umano. Resta il problema di come trasmettere questo alle nuove generazioni. Ai miei studenti racconto che nella più grande biblioteca di Cracovia vi sono due documenti: la sentenza di Norimberga per i medici colpevoli di crimini contro l’umanità e un libretto, intitolato “Monografia della malattia della fame”, scritto dai medici ebrei nel ghetto di Varsavia. E` il primo studio al mondo sulla fame: questi medici ebrei, rinchiusi assieme ai loro pazienti, osservavano i sintomi crescenti della fame. Probabilmente i medici tedeschi dei lager e questi medici ebrei avevano in precedenza studiato nelle stesse università ma i primi sono morti della morte infame dei criminali e gli altri sono morti eroicamente cercando, fino all’ultimo momento, di aiutare i propri pazienti.

 

E` dall’uomo che dipende cosa farà di se stesso. E anche per l’altra domanda di questo convegno – “Dove è Dio?” – io posso invece chiedere: “Dove è l’uomo?” Non si può accusare Dio degli effetti dell’attività umana. Tutto questo è stato fatto da uomini verso altri uomini.

E inoltre:
Finché viviamo, la linea di demarcazione fra il bene e il male non passa fra un uomo e l’altro: passa dentro ogni uomo. Tu puoi anche non accorgerti che ti stai spostando verso la bestialità, lentamente, impercettibilmente. Ma tu, uomo libero, puoi anche tendere consapevolmente all’eroismo, alla santità. Da che parte starai?

Nel suo ultimo incontro coi giovani a Toronto Giovanni Paolo II ha lasciato una specie di testamento: “Non vi accontentate della mediocrità, tendete all’ideale. E se nessuno lo esige da voi siate voi ad esigerlo da voi stessi”. Proprio così: da noi stessi e non dagli altri. Quindi è importante che tu ricordi Rudolf Höss perché anche tu potresti diventare come lui, magari in misura più modesta… ma comunque non-umano. Bisogna ricordare. Non per condannare ma per tenere presenti le conseguenze di atti le cui dimensioni nessuno è in grado di comprendere fino in fondo. Tutte le azioni hanno conseguenze nella civiltà umana che diventa quindi o civiltà della vita e dell’amore o civiltà della morte. L’umanità è data all’uomo come compito.

Le conseguenze di quanto ho vissuto? Beh se qualcuno mi svegliasse, improvvisamente, di notte e mi chiedesse a bruciapelo chi sono potrebbe anche succedere che io gli risponda “sono il numero 7-7-0-9”. Di tutto questo non è sufficiente il semplice parlarne. Molto più efficace è la testimonianza della vita. Ed è per questo che sono molto contenta d’essere venuta: perché voi difendete nel bambino la vita come tale. Io ho avuto il privilegio di lavorare in questo campo con sua Santità Giovanni Paolo II che era molto sensibile a questi temi. L’Istituto per i Problemi della Famiglia voluto dal card. Karol Wojtyla aveva come scopo quello di salvare l’amore umano, fra la donna e l’uomo, perché solo con un “amore bello” i bambini sono trattati come “tesoro”, come frutto dell’amore e sono al sicuro. Qualche anno fa in Polonia i comunisti sono riusciti a imporre una legge sull’aborto. E` una legge molto migliore di quella italiana anche se si è ceduto su alcuni punti, i bambini ammalati per esempio. Qui grave è la responsabilità dei pediatri che devono prendere la decisione. Ma se i pediatri non curano i bambini malati… a che servono i pediatri?

La dott.sa Wanda Poltawska termina con un dettaglio personale, umanissimo e commovente. Io – racconta – ho avuto il privilegio di lavorare con il Santo Padre per 50 anni. Io non lo conoscevo prima d’essere arrestata a Lublino, la mia città natale. E quando fui liberata, per me, restare a Lublino era diventato troppo triste: troppe persone mi chiedevano notizie delle tante donne che non erano tornate e io mi sentivo in colpa di essere sopravvissuta. Allora andai a Cracovia e mi iscrissi a medicina. Lì conobbi il Santo Padre, santo non solo come appellativo del Papa ma perché veramente un sant’uomo. E allora, tutto sommato, il mio bilancio con Ravensburg è abbastanza positivo. Grazie!

A questo punto la dott.sa Wanda Poltawska ha risposto in modo unico ad alcune domande che le sono state poste.

Ma come ha potuto resistere? 
A un mio amico, internato ad Auschwitz, un giornalista ha fatto la stessa domanda e lui ha risposto: “Penso che Dio ha voluto così”. Posso comunque citarvi circostanze che nel mio caso hanno aiutato. Prima di tutto noi ragazze siamo state arrestate con le nostre insegnanti, donne adulte decise a salvarci non solo sul piano fisico ma anche su quello morale e umano: hanno continuato a farci scuola. Queste professoresse, ad esempio, ci insegnavano lingue, matematica, geografia, … nelle lunghe ore in cui eravamo schierate per essere contate. Inoltre io, in precedenza, ero stata molto amata: in famiglia, essendo la più piccola, e così anche a scuola. Anche la nostra fede che Dio aiuta ci ha sostenuto. Si accusa Dio di non intervenire: non è vero, Dio ci ha salvato da quello che stava succedendo. Posso dire che mi ha salvato anche il mio innato senso dell’umorismo (ereditato da mio papà): abbiamo potuto fare qualche serata-teatro o gioco insieme, qualche volta. C’era chi recitava poesie. In quanto cavie condannate a morte eravamo nell’ultima baracca del campo e potevamo accorgerci in tempo se veniva qualcuno a controllare. La solidarietà tra prigionieri ci ha salvato: in quel campo ho trovato amici per tutta la vita. Abbiamo pregato, guidate dalle nostre insegnanti, e con loro abbiamo capito che non di solo pane vive l’uomo ma che abbiamo anche una vita spirituale. Ecco, il nostro gruppo non era casuale, preso dalla strada (come avvenne ad es. ad Auschwitz), ma, in certo senso, una elite. Una volta soltanto, tramite un sacerdote e una suora internati, potemmo fare la comunione con piccole briciole: quel giorno Dio è stato di persona presente nel campo. Infine avevo due amiche più giovani di me e mi sentivo responsabile della loro vita: sentirsi utili per qualcuno aiuta a trovare la forza per sopravvivere. Mi ha salvato anche la mia razionalità: io avevo fatto la guerra ai tedeschi e avevo perso. Va comunque detto che io mi sono salvata solo perché la guerra è finita: era buttata là come un cadavere e sarebbe bastato solo qualche altro giorno e non sarei più ritornata.

Ma non a tutti i sopravvissuti è andata così bene. Molti hanno perso la fede e hanno vissuto una vita piena di tristezza. Non sono riusciti a sopportare. L’ultima mia insegnante è morta due anni fa a 102 anni. Ha fatto ricerche sui sopravvissuti e pubblicato un libro dal titolo “I valori hanno vinto”. Perché l’uomo non è solo corpo. E – come diceva il Santo Padre – l’uomo sempre ubbidisce allo spirito: o allo Spirito Santo o allo spirito di questo mondo. Io sono convinta che la capacità di sopportare tutto quel che succede dipende dalla fiducia in Dio. Perché è Dio che regge il mondo e non altri. Il senso della sofferenza è il più grande mistero di Dio: non si può capire, si può solo accettare. E io ho accettato quel che è successo e che non potevo cambiare.

Il mio lavoro in favore della vita umana cominciò nel campo di concentramento perché, specie dopo la rivolta del ghetto di Varsavia, arrivavano nel campo donne incinte. I tedeschi non facevano abortire le donne, lasciavano che partorissero e poi buttavano nel fuoco i neonati. Noi ne salvammo 30 nascondendoli. Fu una esperienza importante per me, che decisi proprio allora di diventare medico (prima volevo studiare filologia). Accadde una cosa incredibile: i bambini non gridavano mai quando nei paraggi c’erano le guardie. Stavano zitti zitti e strillavano (come ogni bambino fa) solo quando nessun sorvegliante poteva sentirli. I bambini, anche se piccoli, si dimostravano esseri umani, intelligenti che capivano la situazione.

Ci racconta della sua guarigione per intervento di Padre Pio? 
Pensavo di essermi salvata da questa domanda – esordisce la dott.sa suscitando l’ilarità dei presenti – e poi spiega. Non è più un segreto: è “colpa” del Santo Padre se i giornalisti hanno saputo di questa storia, io non ne avevo mai parlato. E` vero: sono stata salvata da Dio molte e molte volte: prima la condanna a morte, poi la fame poi questa malattia… Mentre il Santo Padre, ancora come vescovo, era a Roma per il Concilio, nel settembre 1962, io mi trovavo ricoverata in oncologia per essere operata di un tumore che – dicevano i medici – dava solo un 5% di possibilità che non fosse maligno. Io avevo già accettato l’intervento nella speranza di sopravvivere: ero madre di quattro bambini piccoli. Non avevo pregato per un miracolo: sono un medico e per me accetto la vita come la morte. Il mattino dopo però chi mi curava scoprì che non c’era più nulla da operare e così tornai a casa. Mio marito spedì un telegramma al Santo Padre per comunicare la notizia. Solo dopo il suo ritorno in Polonia il Santo Padre parlò delle lettere: lui, sapendo che ero in ospedale, aveva scritto a Padre Pio, in latino, chiedendo aiuto ma senza fare il mio nome.
Dopo il telegramma di mio marito il Santo Padre ha scritto nuovamente a Padre Pio per ringraziare, sempre senza indicare il mio nome. Io non pensavo proprio a un miracolo: c’era ancora il comunismo in Polonia e io nulla sapevo di Padre Pio. Ho saputo più tardi che Padre Pio aveva dato disposizione di distruggere tutta la sua corrispondenza alla sua morte, tutta tranne queste due lettere. Nel 1967 ottenni un passaporto per essere operata alle vertebre cervicali ad Honolulu (ero a rischio paralisi dovuta a quel che mi avevano fatto a Ravensbrück).
Ebbi anche la possibilità di fermarmi a Roma perché il mio vescovo stava per essere fatto cardinale (giugno 1967).
Era maggio e avevo un mese di tempo per visitare la vostra bella Italia. Il Santo Padre mi suggerì di andare da Padre Pio a ringraziare e andai così a San Giovanni Rotondo con una suora che parlava polacco. Trovai una chiesa gremitissima e Padre Pio era inavvicinabile. La suora supplicò un cappuccino che ci suggerì di presentarci il mattino dopo alle cinque e di entrare dalla sacrestia. Assistei a una S.Messa eccezionale, un vero miracolo: piena di italiani eppure così silenziosa che non si sentiva volare una mosca. Padre Pio celebrava come nessun altro. Era veramente il sacrificio di Cristo sull’altare: Padre Pio soffriva durante la lunga liturgia e io posso testimoniarlo, come medico. Finita la messa lui rientrò in sacrestia, piena di una folla di persone, tra cui io. Si guardò intorno e, giunto davanti a me, fece così [la dott.sa Poltawska si sposta dal leggio e va ad accarezzare la testa di Gandolfini!]. Capii in quel momento che mi aveva riconosciuto. Le altre donne mi dissero di non lavare più i capelli, perché adesso erano una reliquia… io comunque lavo regolarmente i capelli! La dott.sa Poltawska termina il racconto puntualizzando divertita che la richiesta di canonizzazione per Padre Pio non fu presentata dai vescovi italiani ma da Karol Wojtyla e fu firmata dai vescovi polacchi.

Pensavo di essermi salvata da questa domanda...
... giunto davanti a me, fece così...

E` possibile convivere con questa sofferenza? E` possibile perdonare i propri aguzzini? 
Il dott. Fritz Fischer, il medico che aveva fatto esperimenti su di me, poco dopo si pentì, si fece esonerare e partì per il fronte dove si distinse per valore. Al processo ebbe dunque salva la vita e 25 anni di carcere, poi ridotti per buona condotta. Mi scrisse tempo dopo chiedendo il mio perdono. Io gli risposi che io non ho nulla da perdonare: è a Dio che lui deve chiedere perdono. Perché devo perdonare? Io non posso perdonare. Il male da lui fatto è enorme: cinque donne sono morte per i suoi esperimenti, altre sono invalide per tutta la vita. Una mia amica si ritrovò con una ferita infetta che la deturpò per tutta la vita e la umiliò in tutte le relazioni. Era una bellissima ragazza… ma quale uomo se la sarebbe presa in moglie con una gamba perennemente purulenta? I danni sono permanenti: per questo, spiegai a Fischer, solo Dio può perdonarlo, non io. I tedeschi avevano diritto ad arrestarci: eravamo nemici e io ho perso. Ma non avevano diritto di usarci come oggetti per esperimenti. Come persone umane, create a somiglianza di Dio, dobbiamo amare e non odiare, aiutare tutti e non solo chi ci fa del bene – come dice il Vangelo che le buone suore Orsoline mi avevano insegnato a scuola -, non giudicare e non accusare… Il Santo Padre 50 anni fa mi confidò che da ragazzo era rimasto molto impressionato dal fatto che Gesù avesse detto “Non giudicate”. E difatti posso testimoniare – io per tanti anni ho parlato quotidianamente con il Santo Padre – lui non giudicava nessuno, nessuno! parlava ovviamente dei vari problemi ma la competenza di giudicare e dunque anche di perdonare è solo di Dio.