Memoria, lutto e infine perdono

Intervento della prof.sa Claire Ly al convegno “L’eclissi della bellezza – Genocidi e diritti umani” presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore – sede di Brescia – 11 febbraio 2007.

La prof.sa Claire Ly – spiega Gianni Mussini che introduce questa testimonianza – è autrice di “Ritorno dall’inferno” dove, tra le tante cose, racconta della sua conversione al cristianesimo ottenuta “litigando con Dio”, andando contro il cliché dei buoni sentimenti della gente che si converte piangendo… Leggendo questo libro si scopre che, come per i non-nati di cui si occupano i movimenti per la vita, esistono tanti morti invisibili, morti dimenticati, la bellezza misconosciuta, l’eclissi della bellezza appunto. Ecco perché ci servono testimoni che ci aprano gli occhi.

Quella che segue è una versione sintetizzata del suo intervento in cui abbiamo cercato di ridurre al minimo gli adattamenti del parlato. Qui sotto trovate il video completo.

Vi parlerò del dramma accaduto nel sud-est asiatico, dramma che mi ha portato in un cammino verso Gesù Cristo. Va innanzitutto chiarito che la parola Khmer indica il popolo che abita la Cambogia mentre il termine Khmer Rouge (Khmer Rossi) indica la fazione che ebbe il potere dall’aprile del 1975 al 1979. Notiamo poi come il genocidio cambogiano inizi esattamente trent’anni dopo la fine del nazismo (1945) e finisca quindici anni prima del dramma ruandese (1994). Questo significa che la violenza accade in qualunque continente, in qualunque cultura. Sono tre i paesi che nel 1975 cadono sotto un regime comunista: il Laos, il Vietnam e la Cambogia. Ma è in Cambogia che prevale l’idea di realizzare una società pura, di “Khmer puri”. State certi che quando si parla di realizzare qualcosa di puro il processo di purificazione non è lontano e consiste nell’eliminare tutti gli ostacoli. Il maggior ostacolo a questa cosiddetta purificazione è rappresentato da tutti quelli che possono pensare. Si prendono di mira quindi gli intellettuali, seguiti subito dopo da tutte le religioni: il Buddismo, l’Islam e il Cristianesimo. Fu così che nel giro di 24 ore tutta la mia famiglia è stata “purificata”, cioè fucilata. Il popolo cambogiano è stato diviso in due: il “popolo antico” (i contadini, che sostenevano i Khmer Rouge prima del 1975) e il “popolo nuovo” (gli abitanti della città, come me, sporcati dalla civiltà imperialista). I primi dovevano rieducare i secondi. Io, che ero insegnante di filosofia in un liceo di Phnom Penh, fui mandata in una risaia e fu tremendo anche perché ero abituata alle comodità della città. Il mio accento e il mio vocabolario tradivano la provenienza cittadina e dunque ero sempre in pericolo.

La mia vicenda mise un muro tra me e la dottrina tradizionale del karma, che è parte della filosofia buddista: secondo questa credenza le nostre vicende attuali sono conseguenza di come si è agito in una vita precedente. E per me era assolutamente inaccettabile pensare che mio marito, mio padre, i miei fratelli avessero commesso qualcosa da meritare questa morte. Entrarono in me sentimenti considerati orribili nel Buddismo: l’odio e la collera. Per non cadere nella follia era necessario un capro espiatorio, una valvola di scarico che trovai nel “dio degli occidentali”. Il “dio degli occidentali” è il dio di coloro che hanno portato la guerra in Asia: il marxismo è un prodotto della civiltà giudeo-cristiana, la civiltà occidentale, non è originario dell’Asia. Il “dio degli occidentali” era dunque un colpevole perfetto e passavo il mio tempo a insultarlo. Attraverso questo odio e questa collera sono arrivata a quel Dio che voi chiamate il “Dio dell’amore”. 

Questo Dio era l’unico con cui potevo parlare nel lager dei Khmer Rossi e si rivelò l’unico appoggio, come una stampella per lo storpio, non avrei potuto camminare senza di lui. Non avrei potuto avere alcun riscatto se al mio arrivo in Francia non avessi incontrato il Vangelo di Gesù Cristo. La vita di Gesù di Nazaret, il suo sacrificio celebrato nell’Eucarestia, mi hanno indicato chi veramente fosse il “dio degli occidentali”. Sono stata battezzata nel 1983 a 36 anni. Le cose che ho scoperto nel cristianesimo e che reputo più importanti sono la libertà dell’uomo e l’incarnazione di Gesù Cristo: credere in un Dio incarnato significa sapere che tutta la nostra vita è da lui condivisa, compresi i punti più oscuri. Nel Vangelo, quando Gesù appare a Tommaso, vediamo che il Signore, anche se risorto, è segnato dalle ferite: Gesù Cristo realizza quello che in psicologia si chiama resilienza, la capacità di ricostruirsi una vita dopo un grave trauma. Io ho una grande ferita dovuta a quello che ho subito… ma penso che questa ferita è portata anche nel cuore del mio Dio. Ma non possiamo non pensare a tutti quelli che non ce l’hanno fatta e sono rimasti schiacciati: questa tragedia ha provocato la morte di due milioni di persone su una popolazione iniziale di sette milioni.

Nel genocidio l’uomo è stato ridicolizzato, ingannato e umiliato. Questa ferita profonda ferisce il cuore di Dio. Il perdono di questa violenza deve fondarsi sul perdono di Dio. Se esamino la vita di Gesù Cristo scopro infatti che sulla croce lui non ha detto “io li perdono” ma “Padre, perdona loro”. Posso dunque solo presentare i colpevoli al Signore. Il perdono cristiano, quando arriverà, sarà un dono del Signore. Cosa resta da fare a me in quanto donna? A noi, uomini e donne, resta un cammino, una strada. Un cammino che inizia con la memoria e prosegue con il lutto. E` nostra responsabilità analizzare le cause del genocidio e questo cammino ci condurrà verso il perdono ma il perdono è un dono del Signore, non opera nostra. Rifacendomi al filosofo francese Paul Ricœur posso dire che il perdono è come la poesia nella vita e che la poesia è come la bellezza che è gratuita, donata interamente dal cuore di Dio. Non ha altre condizioni se non l’utilità immediata. Quindi occorre fare il cammino del ricordo, poi del lutto e del dolore e alla fine il perdono sarà una grazia ricevuta. Il genocidio cambogiano è caduto su un popolo con la sua propria cultura, quella buddista. La cura deve essere dunque trovata all’interno della cultura Khmer. Io sono il risultato di due culture quella asiatica e quella occidentale ma il mio nuovo credo è contrassegnato dalla mia cultura originale asiatica. Noi cristiani possiamo accompagnare questo popolo ma non possiamo sostituirci ad esso. E` compito del popolo Khmer percorrere la strada della memoria, poi del lutto e infine della riconciliazione. Affido il mio popolo alla misericordia di Gesù Cristo.